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Interventi

05-12-2006
Giornata di studio sul tema “Giuseppe Dossetti nella Costituente e nella politica”

Desidero rivolgere il mio saluto al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ringrazio per averci onorato della sua presenza. Saluto il Presidente del Senato della Repubblica, Franco Marini; il Ministro per i rapporti con il Parlamento, Vannino Chiti; il Presidente della Corte Costituzionale, Franco Bile; le altre autorità presenti e tutti gli intervenuti.

Un saluto ed un ringraziamento particolare rivolgo al Presidente della Fondazione della Camera dei deputati, Pier Ferdinando Casini, promotore dell’odierna giornata di studi; al Vicepresidente della Camera, Pierluigi Castagnetti, che ne concluderà i lavori; ai nipoti di Dossetti, Giuseppe e Maria, ed agli altri familiari che abbiamo l’onore di ospitare in questa Sala.

A dieci anni dalla scomparsa di Giuseppe Dossetti resta arduo inquadrarne la figura all’interno delle categorie tradizionali con cui si interpretano la politica, la società, la cultura.

Ma la difficoltà dello sforzo è forse la riprova più evidente della sua scarsa utilità. A Giuseppe Dossetti è sufficiente accostarsi senza mediazioni, rinnovando il ricordo della sua pensosa umanità, di ciò che egli semplicemente è stato: un’eredità indelebile soprattutto per chi - come il Vicepresidente Castagnetti – ha avuto il privilegio di collaborare direttamente con lui, ma non solo per questi. Forse nella semplicità di questa lezione c’è la chiave per indagare un percorso e una ricerca assai complessa.

Ne ho avvertito la possibilità quando lo scorso 25 aprile mi è capitato, nell’anniversario di Marzabotto, di sostare sulla sua sepoltura, nel piccolo e verde cimitero sulla collina dove sorgeva la chiesa che fu teatro dell’orribile strage nazista. Lì Dossetti restò alcuni giorni in meditazione prima di accingersi a dare il suo contributo decisivo alla formulazione dell’articolo 11 della Costituzione, come a voler cogliere anche con una testimonianza individuale il più generale segno dei tempi.

Una personalità intransigente, costantemente alla ricerca della sostanza morale del vivere, consapevole della centralità della dimensione dello spirito per sostenere l’uomo nel compito proprio della sua condizione: confrontarsi giorno dopo giorno con l’esistente, per trascenderne i limiti e muoversi verso forme più avanzate ed inclusive di convivenza.

Questa disposizione così acuta alla meditazione, alla costruzione dei riferimenti ideali entro cui inscrivere la pratica dei comportamenti e delle scelte è stata sovente addebitata a Dossetti come un limite. Ma è proprio questa critica che non sa vedere l’essenziale qualità che Giuseppe Dossetti ha dimostrato di possedere in larga misura e che è costitutiva del “proprio” della politica: l’essere nel presente con la capacità di guardare oltre il presente, con spirito libero ed autonomia di giudizio.

Un dato – questo – già evidente nell’impegno antifascista, ma che emerge con particolare forza nella sua interpretazione dell’esperienza della Costituente e della fondazione delle istituzioni della nuova Repubblica democratica, nata dalle sconfitte inferte alla dittatura ed alla guerra.

Tornano alla nostra memoria gli interventi di Dossetti nell’ambito della Commissione dei Settantacinque e in Assemblea plenaria: interventi dai quali certamente emerge il giurista acuto e colto, ma che, tuttavia, mai indulgono al tecnicismo e puntano invece direttamente alla sostanza dei problemi, ai fattori che ne segnano lo stato e possono orientarne le possibili evoluzioni.

Vi scorgiamo l’atteggiamento coerente di chi non vede nella Costituzione esclusivamente un complesso di regole e di procedure, che non ne esalta come esaustivo il ruolo - pure indispensabile - di garanzia del cittadino nei riguardi dei poteri pubblici, secondo la prospettiva liberale che Dossetti rispettava, ma riteneva inadeguata ad interpretare la complessità del passaggio costituente.

Nell’azione del Dossetti costituente ritroviamo piuttosto l’idea della transizione costituzionale come rinascita della comunità nazionale, come ricostruzione del suo tessuto etico, come creazione delle condizioni di un percorso comune, che tale può essere solo se sorretto da un quadro di valori e di princîpi in grado di parlare a tutti e di essere da tutti agibili e praticabili.

Di questa visione così esigente restano tracce durature in alcune delle principali disposizioni della Carta costituzionale, soprattutto in materia di rapporti civili e sociali. Ma, al di là delle singole norme, il suo apporto resta impresso nell’impianto complessivo della nostra Costituzione, e soprattutto in quella speciale attenzione alla dimensione sociale della convivenza civile ispirata dall’umanesimo cristiano che ha trovato in Giuseppe Dossetti, Giorgio La Pira, Amintore Fanfani e Aldo Moro gli interpreti più alti, pure nelle rispettive diversità. Un’attenzione che è stata alla base del dialogo con le altre grandi culture politiche socialista, comunista, liberale e laiche nella formazione della nostra Repubblica.

La tensione di Dossetti alla trasformazione dell’esistente si manifestò, del resto, anche negli anni della prima legislatura repubblicana, soprattutto nei ripetuti richiami all’esigenza di uno svolgimento coerente delle premesse contenute nel testo costituzionale nella direzione di una democrazia sociale matura.

Furono gli anni in cui Dossetti si impegnò per affermare la centralità della questione del lavoro e delle politiche sociali nel processo di crescita del Paese; anni che lo videro protagonista delle discussioni parlamentari sulla riforma agraria, sull’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno e, più in generale, sulla priorità della liberazione dal bisogno come finalità strutturale dell’intervento dei poteri pubblici.

Furono tuttavia anche gli anni in cui - in un’Italia segnata da un duro contrasto tra le forze di governo e quelle di opposizione - più accesa ed intensa maturò la dialettica all’interno della Democrazia Cristiana sulle prospettive di sviluppo dell’Italia e sulla sua collocazione internazionale.

Quella dialettica avrebbe visto la sconfitta della linea sostenuta da Giuseppe Dossetti, determinandone l’abbandono della scena pubblica e l’integrale dedizione alle ragioni dello spirito e della vita consacrata. Si trattò di una sconfitta politica, ma non certo di una sconfitta di idee, che continuarono a lavorare nel profondo della società.

Negli anni difficili della ricostruzione, l’esperienza di Dossetti aveva infatti interpretato la sensibilità di una parte consistente del cattolicesimo italiano, attenta alle dinamiche ed ai mutamenti sociali più che alle ragioni della politica degli schieramenti.

Oggi vediamo con chiarezza anche quanto preziosi siano stati i semi gettati da Dossetti negli anni del suo impegno politico rispetto al futuro.

Tali si sono rivelati già pochi anni dopo il suo ritiro dalla scena politica, quando si trattò di costruire le condizioni per allargare la base sociale della nostra democrazia, per rinnovare i meccanismi della partecipazione e del consenso democratico che avevano vissuto una sorta di congelamento.

Ma essi sono vivi e vitali anche in questo presente, segnato ovunque da lacerazioni di segno nuovo ed antico, da divisioni economiche e sociali profonde, che rischiano di escludere intere generazioni dal tempo futuro della convivenza umana e che restituiscono ad alcune delle più impegnative intuizioni di Dossetti un carattere profetico.

In questo quadro, non possiamo non riconoscere la forte attualità della sollecitudine di Dossetti per le questioni dell’equità distributiva, diretta derivazione della parola evangelica anche nelle sue implicazioni civili, come ad esempio in materia fiscale; o nella sua premonizione delle possibili derive dell’assetto capitalistico dei rapporti di produzione nella direzione di un neoliberismo senza freni e senza regole.

C’è un passo di un intervento svolto da Dossetti in un convegno del 1951 che offre un esempio assai significativo di quell’aspirazione sociale e della sua tensione etica. Commentando l’Epistola ai Romani di San Paolo, Dossetti rileva che l’Apostolo, nell’intento di riaffermare la necessità di pagare comunque il tributo a chi si deve, chiama gli esattori “operatori liturgici” - anche se romani, anche se pagani - concludendo in questi termini:

“A me pare che gli uomini i quali vedano profilarsi uno Stato capace di imporre loro dei gravi sacrifici di ordine materiale, allo scopo però di avviare ad una reformatio del corpo sociale e ad una maggiore aequalitas fra gli uomini, debbano vedere finalmente profilarsi “i liturgici di Dio”.

Nella medesima direzione vengono anche alla memoria i lunghi anni del “secondo Dossetti”, incentrati sulla scelta sacerdotale, sulla rigorosa dedizione alle cure dello spirito, sul contributo al Concilio Vaticano II - un altro evento epocale che ha visto Dossetti operare concretamente per il rinnovamento e la trasformazione.

A quegli anni risalgono infatti l’inizio della presenza della sua comunità in Palestina - la terra che ha visto nascere, convivere e dialogare tra loro le tre grandi religioni di Abramo - ed una rinnovata meditazione sulle condizioni della pace, già oggetto dell’appassionato confronto ai tempi della Costituente.

Tutto questo rende Dossetti a noi vicino più di quanto lascino pensare gli straordinari mutamenti che dividono il contesto odierno da quello in cui egli visse ed operò.

Oggi come allora, infatti, la politica resta incapace di sciogliere i nodi del presente se non si sforza di interpretarli al di fuori e al di sopra della contingenza degli interessi e delle convenienze di parte. Oggi come allora, soprattutto, alla politica resta il compito di misurarsi con le “attese della povera gente”, per usare la celebre espressione con cui La Pira si riferiva all’azione di Dossetti e che vorremmo richiamare per ricordare, con gratitudine, il suo insegnamento.

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