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Interventi
06-11-2007Giornata di studio in occasione del bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi
Desidero rivolgere il mio saluto al Sottosegretario per i beni e le attività culturali, Andrea Marcucci, presidente del Comitato nazionale per il bicentenario della nascita di Garibaldi, che voglio ringraziare per l’intensa attività di studio e di approfondimento promossa in questi mesi in tutto il Paese alla guida del Comitato. Saluto gli studiosi italiani e stranieri che animeranno con la loro autorevolezza questa giornata di studio, che intende contribuire ad una rilettura storica della figura di Garibaldi senza indulgere alla retorica o all’agiografia, ma che anzi ha l’obiettivo di dare ragione di una personalità complessa, assai meno lineare di quanto la tradizione popolare tenda ad accreditare e capace anche per questo di suscitare, nella memoria collettiva del Paese, la costruzione di un mito configurato su più dimensioni. Ringrazio per questo i professori Giuseppe Monsagrati, Piero Isnenghi, Angelo D’Orsi e John Davis e, con loro, desidero ringraziare anche Raffaele Nigro. Nel farmi tramite del suo rammarico per non poter essere oggi con noi, desidero rivolgergli, anche a nome di tutti i presenti, l’augurio più vivo per un pronto ristabilimento. In occasione del bicentenario della nascita, la Camera dei deputati ricorda con questa riflessione odierna Giuseppe Garibaldi, che ne fu membro per otto legislature, rappresentando di volta in volta collegi di ogni parte d’Italia, a testimonianza della dimensione nazionale così concretamente presente nella sua personalità politica. Può sembrare un paradosso associare all’ambito parlamentare una vita declinata nel segno dell’azione piuttosto che dell’attività legislativa e della mediazione politica. In effetti, l’impegno di Garibaldi in Parlamento si è connotato per una cifra del tutto peculiare, che ne ha fatto un deputato fuori dagli schemi tradizionali: sempre pronto alle dimissioni; insofferente dei tempi della vita parlamentare; sostenitore di aspirazioni sociali e di sentimenti di giustizia dai modi diretti e taglienti, poco propenso ai distinguo ed alle sottigliezze che, nella sua visione, manifestavano l’aspetto deteriore degli equilibri parlamentari. Eppure, l’analisi della presenza di Garibaldi nell’Istituzione parlamentare si rivela una chiave interpretativa interessante per una lettura compiuta della sua figura. Come dimostra anche il volume pubblicato per l’occasione odierna dall’Archivio Storico della Camera dei deputati - che desidero ringraziare vivamente per questo stimolante contributo - l’attività di Garibaldi in seno alla Camera dei deputati apre infatti una prospettiva di indagine innovativa, in cui i profili più noti dell’uomo d’azione si integrano con il dato, assai meno conosciuto, di una persino sorprendente cultura politica e con l’aspirazione a tradurre in iniziativa istituzionale il deposito etico, civile e politico di un’esperienza di vita senza dubbio non comune. La sua appartenenza alla Camera ha in particolare portato all’interno della rappresentanza nazionale, anche sul piano simbolico, i grandi ideali con i quali l’iniziativa e l’azione di Garibaldi si sono misurate. Penso alla costante preoccupazione per l’incompiutezza dell’unificazione nazionale, in primo luogo, a fronte della perdurante occupazione straniera prima di Roma e di Venezia, poi di Trento e Trieste; all’affermazione dell’esigenza storica del riscatto di tutte le aspirazioni nazionali e delle cause del progresso, alimentata dalla preoccupazione di non trasformare gli italiani, una volta acquisita l’unità e l’indipendenza, da oppressi in oppressori; all’affermazione del nesso indissolubile tra libertà politica e giustizia sociale, nell’ottica dell’emancipazione dei lavoratori come obiettivo primario del neonato Stato nazionale. In altri termini, la lunga presenza di Garibaldi in Parlamento, lungi dal comprometterne il mito, vi ha dato sostanza ulteriore e si è venuta a saldare pienamente con i fattori costitutivi che quel mito hanno fatto nascere ed hanno alimentato. Oggi, a duecento anni dalla sua nascita, la figura di Giuseppe Garibaldi continua a riscontrare, nella memoria collettiva e nel comune sentire degli italiani, un grado di popolarità straordinario: una condizione di favore che non ha termini di confronto nella storia nazionale e su cui è possibile indagare criticamente e senza pregiudizi. Certamente la forza intrinseca delle sue idee, la coerenza ed il disinteresse personale, un tratto umano sincero ed immediato hanno fatto senza dubbio di Garibaldi l’ «anima popolare del nostro Risorgimento», come affermato, in occasione del primo centenario della sua morte, dall’allora Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, in un messaggio inviato alle Camere. Credo anche che gli italiani di tutte le generazioni si siano riconosciuti nella capacità di Garibaldi di vivere l’aspirazione all’unità d’Italia, piuttosto che come un disegno letterario o un esercizio politico-diplomatico, come la condizione per l’esistenza di un popolo e per l’affermazione della sua dignità, attraverso il suo sviluppo ed il miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni. Lo stesso sentimento, del resto, di cui si è alimentata l’adesione di Garibaldi alle battaglie progressiste del suo tempo, nell’ottica di un socialismo umanitario sorretto dalla consapevolezza dell’uguaglianza e della pari dignità di tutti gli esseri umani: dalle iniziative per la pace universale all’abolizione della pena di morte; dalla federazione europea all’antischiavismo; dalla rivendicazione del libero pensiero a quella dei diritti delle donne. Un connotato culturale che consente di individuare tra le radici del movimento operaio italiano anche l’internazionalismo garibaldino, confermato dalla simpatia con cui Garibaldi guardò alla Comune di Parigi, e che spiega come nella lotta europea al nazifascismo - dalla guerra civile spagnola alla resistenza italiana - il nome di Garibaldi sia stato scelto per conferire a brigate partigiane il contrassegno del coraggio personale e della nobiltà dell’ideale. Non vi è dubbio, infine, che molto abbia contribuito alla costruzione della popolarità di Garibaldi la sua adesione militante alle ragioni di tanti popoli in lotta per la libertà e l’indipendenza, dall’America Latina all’Europa orientale: una visione cui si deve per tanta parte il carattere peculiare del moto risorgimentale italiano, che non ebbe mai ad assumere connotazioni nazionalistiche, se non nella successiva strumentalizzazione fattane dal regime fascista. Al tempo stesso, tuttavia, la critica storica non può tacere oggi la problematicità di un pensiero mai sistematico, spesso ondeggiante; di un’interpretazione della comunità politica certamente fondata sulla sovranità popolare, ma non di rado permeabile a tentazioni autoritarie; né si può ignorare la sostanziale incomprensione della questione meridionale, il ricorso ad un anticlericalismo di maniera, la tendenza alla personalizzazione dei contrasti politici. Vi è dunque ancora ampia materia per discutere a fondo sulla figura e sull’azione di Garibaldi, una delle massime personalità del nostro Risorgimento, sebbene non esente dai limiti del tempo storico in cui si è collocato il suo impegno. Credo tuttavia sia importante attestarsi, pur rispettando i diversi punti di vista presenti nella storiografia, su un dato in particolare: è necessario che l’Italia sappia trarre dalla memoria della sua storia i valori civili e morali di portata universale che hanno unito gli italiani tra loro ed il popolo italiano ad altri popoli nel realizzare quel messaggio di libertà, giustizia e solidarietà che è stato iscritto nell’identità nazionale da uomini come Giuseppe Garibaldi. “L’uomo avrà per patria il mondo; i capitali delle nazioni saranno impiegati alla loro prosperità, non alla loro distruzione, e cesseranno finalmente quei macelli umani che si chiamano guerre ed a cui ci spinge da tanti secoli il dispotismo”. Con queste parole, un secolo e mezzo fa, Garibaldi legava strettamente le ragioni della liberazione dell’Italia ad una prospettiva universale di pace e di progresso che purtroppo è ancora del tutto incompiuta. La testimonianza di Garibaldi, ma anche di tutti coloro i quali dal suo esempio sono stati guidati perché ne hanno condiviso gli ideali, può aiutarci a proseguire nella liberazione dell’uomo, a tutte le latitudini, da ogni forma antica e nuova di oppressione.